Pubblichiamo qui sotto il contributo “Stati Uniti. Cose strane succedono a Portland… ” ricevuto dalla redazione de Il Pungolo Rosso e già disponibile sul loro sito.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo aggiornamento sugli avvenimenti di Portland, la città più grande dell’Oregon (circa 600.000 abitanti), nel nord ovest degli Stati Uniti, ai confini con il Canada. La protesta non si ferma, benché in questa piazza la presenza degli afro-americani sia minima. Eppure, guardate cosa che sta succedendo… nonostante la provocatoria presenza e l’intervento di truppe federali e contractors, o forse proprio per questo.
Stati Uniti. Cose strane succedono a Portland…
59 giorni consecutivi di proteste e di lotte in strada a Portland, da quando l’assassinio di George Floyd il 25 maggio è stata la scintilla che ha fatto irrompere questo inedito movimento contro la violenza della polizia. Movimento composto di sfruttati neri, latinos e bianchi senza riserve, uniti in un unico sentimento: contro il razzismo della polizia ed il razzismo sistemico che pervade tutta la società.
Mentre di giorno migliaia di giovani sfruttati manifestano, ogni notte in strada si ripete la battaglia contro la polizia e contro i simboli di questo razzismo rappresentato dalle statue degli “eroi” della supremazia bianca e dai palazzi del governo federale. Giornate di scontri intorno ai palazzi della Corte Federale di Giustizia, di bandiere a stelle e strisce date alle fiamme, di tentativi di ripetere il CHOZ di Seattle, contro cui la polizia locale non ha lesinato il pugno duro.
Dai primi di luglio la repressione dello Stato è diventata ancora più cruenta, ma il movimento di lotta non intende indietreggiare. Un battaglione delle forze della polizia del Dipartimento di Sicurezza nazionale (quel perfido corpo addestrato alle operazioni antiterrorismo ed alla difesa armata del confine con il Messico e contro gli immigrati clandestini) è stato inviato da Trump per cercare di terrorizzare il movimento e gli sfruttati tutti di Portland.
Le azioni violente di queste forze di polizia federali avvengono in modo brutale. Giovani vengono catturati e portati via usando auto a noleggio, quindi non registrate, senza costituire un arresto ufficiale: quanti di questi “arresti” sono stati compiuti ai danni di immigrati musulmani o di afroamericani di fede musulmana e condotti in carceri speciali e segrete a causa della guerra di rapina continua agli oppressi del mondo arabo islamico innescata dalla falsa guerra di civiltà contro il terrorismo?
Il movimento di protesta non si arrende. Le mobilitazioni che stavano via via scemando hanno trovato così rinnovata linfa e una nuova determinazione proprio per rispondere colpo su colpo all’escalation della repressione razzista dello Stato. Le manifestazioni hanno ricominciato a riempirsi della voglia di battersi da parte dei giovani sfruttati. A queste, come aspetto di una ricomposizione di un fronte di classe al di là della razza, si è aggiunto anche un aspetto di una ricomposizione generazionale di questi settori di proletari e sfruttati. Le piazze si sono riempite delle mamme in divisa gialla, schierate alla testa dei cortei ed al grido “federali attenti, le mamme sono qui”.
Tutto questo accade a Portland proprio perché è una delle espressioni più alte di questo sentimento di lotta contro il razzismo sistemico e per il “black lives matter” unitario degli sfruttati colorati e dei proletari bianchi incondizionatamente al fianco dei propri fratelli afroamericani e latinoamericani. Portland è una delle grandi città americane dove il razzismo e l’oppressione del popolo afroamericano storicamente si è caratterizzato non attraverso la segregazione ma attraverso la pulizia etnica dello Stato che ha cacciato i “neri” dalle città. In Oregon è rimasta in vigore fino al 1926 una legge che impediva agli afroamericani di entrarvi e di risiedervi, mentre sempre per legge lo Stato dell’Oregon vietava i matrimoni interrazziali fino agli anni cinquanta. Non è un caso, dunque che la popolazione afro-americana a Portland e nell’Oregon è la più bassa degli USA: gli afroamericani a risiedervi sono solo il 2% in tutto lo Stato ed il 5% a Portland.
Questainedita unità di lotta tra sfruttati di ogni colore spaventa le forze sociali del capitale; la repressione qui è brutale ed è necessaria per spezzare sul nascere questo embrionale antagonismo che è di razza e di classe. Il Sindaco di Portland Ted Wheeler ha richiesto ufficialmente al governo di Washington di ritirare la polizia federale aggiungendo che il consiglio della città non le vuole. Altri esponenti dello Stato dell’Oregon si riferiscono alla presenza della polizia federale in strada a Portland come la presenza di “truppe di occupazione”. Più che guardare a questi conflitti e contraddizioni tra le istituzioni come espressione di una America che vede da una parte una componente democratica e liberale, contrapposta al bieco autoritarismo di Trump sceso da Marte, ne va capita la reale dinamica.
La crisi economica e sociale inarrestabile, aggravata ed accelerata dalla pandemia, il profondo smottamento di tutte le relazioni sociali che stanno contrapponendo forze sociali e classi sociali tra di loro, arriva a scuotere anche la sovrastruttura dello Stato centrale. Lo Stato degli USA, quel moloch indiscutibilmente centralizzato, militarizzato e coeso dall’acciaio fuso, scricchiola paurosamente. La crisi profonda, che è anche globale, richiede l’uso di politiche inedite per governare e traghettare la società americana verso più violenti scontri nella acuita concorrenza internazionale del capitalismo globale. A farlo scricchiolare è l’azione combinata di questa crisi e di questo insorgente movimento che essa stessa ha prodotto.
Questi fatti ci devono dire che tornare indietro non è più possibile. In questo scricchiolio anche l’intero liberalismo democratico viene messo all’angolo, è costretto a retrocedere ed infine a lasciare il passo alle politiche che richiamano la necessità di una repressione più dura. La repressione a Portland federalmente diretta dalla Casa Bianca arriva dopo che la repressione democratica condotta dal governo democratico dello Stato dell’Oregon e della città di Portland non è riuscita ad arrestare e a soffocare il movimento. Tant’è che Trump si appresta a mandare altre truppe federali della polizia del Dipartimento di Sicurezza Nazionale a Chicago, Washington, Seattle e New York, dove il 20 luglio l’azione nazionale dello sciopero per la vita dei neri – “strike for the black lives” – mostra ancora scenari di vitalità di questo inedito movimento di lotta di giovani proletari neri, latini, bianchi ed immigrati.
Molti video degli scontri di Portland di questi giorni ci mostrano le azioni dei federali contro le proteste che non evidenziano truppe militari addestrate e disciplinate, bensì delle scorribande isteriche tipiche dei branchi animali: cariche scoordinate e rapide ritirate disordinate; attacchi isterici che colpiscono alla cieca, urla incomprensibili. Sembrano delle truppe drogate, forze di polizia sotto l’effetto di stupefacenti, di droghe e allucinogeni. Cosa che non stupisce, in quanto la storia dell’esercito americano ci racconta del largo uso della somministrazione di eroina, LSD e crack alle truppe, per infondere coraggio alle truppe mandate sui fronti di guerra in Vietnam, in Iraq ed in Afghanistan. Altrettanti video ci mostrano che le mamme di Portland non si lasciano intimidire facilmente e con coraggio ancora questa notte la lotta continua.
25 luglio