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[CONTRIBUTO] Gli scioperi degli operai Fiom per Adil sono un fatto importante. “Attendiamo” il passo successivo

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui).

Gli scioperi degli operai Fiom per Adil sono un fatto importante.

“Attendiamo” il passo successivo.

Come definire gli scioperi di protesta degli operai della Fiom per l’uccisione di Adil Belkhadim avvenuti negli scorsi giorni, a partire dal venerdì 18? Importanti ci sembra il termine appropriato. In quanto sono un sintomo che cominciano ad aprirsi brecce nel muro tuttora esistente e resistente tra la classe operaia dell’industria metalmeccanica e la classe operaia della logistica, e tra i lavoratori autoctoni e i lavoratori immigrati.

I primi a scendere in sciopero sono stati, il venerdì 18, gli operai Stellantis di Torino a Mirafiori, Carrozzeria, officina 63, porta 33 (“uno sciopero auto-organizzato con massiccia partecipazione”, cui la Rsu ha assicurato la copertura). A ruota, diverse Rsu legate all’opposizione in Cgil: Elettrolux di Susegana, Piaggio di Pontedera, Gkn, Dalmine di Bergamo, Pasotti e Rodel di Brescia.

Si sono mosse, poi, diverse fabbriche dell’Emilia Romagna con una dinamica iniziale spontanea, come attesta un documento della Fiom di Reggio Emilia (del 22 giugno): “In questi giorni sono state una ventina le aziende della nostra provincia in cui le Rsu Fiom hanno proclamato spontaneamente fermate in sciopero per manifestare la propria solidarietà e la propria indignazione per l’omicidio di Adil”. A quel che ci risulta, tra lunedì 21 e martedì 22, hanno fatto fermate o scioperi di due ore gli operai di Ferrari, Maserati, CHN, Mg, Bosch, Manitou Italia, medie-grandi fabbriche storiche. Dopo questi scioperi la Fiom dell’Emilia Romagna ha indetto uno sciopero generale di categoria per mercoledì 23, due ore a fine turno, che la Rsu della Titan ha esteso a 4 ore (e qualche altra ha ridotto ad una sola ora). Giovedì 24 è stata la volta degli stabilimenti Stellantis di Pomigliano (dove, almeno nel reparto confino di Nola, l’adesione è stata altissima) e di Melfi, alla coda dell’iniziativa presa da SI Cobas e Usb. Altri scioperi son stati indetti per il venerdì 25, ad esempio dalla Fiom di Verona che ha deciso di partecipare alla raccolta di fondi per la famiglia di Adil.

Nel complesso svariate migliaia di operai hanno aderito agli scioperi, che sono stati per lo più effettivi, non semplicemente proclamati. Nell’indirli alcune Rsu non hanno taciuto che “il compagno Adil Belakhdim” era un attivista sindacaledel SI Cobas, fatto significativo perché più in alto si va nella struttura della Cgil, maggiore ostilità si trova verso il SI Cobas, un’ostilità che esclude qualsiasi forma di riconoscimento (il solo ricordare l’appartenenza di Adil al SI Cobas è una forma di riconoscimento) e di vicinanza. In più di un caso i comunicati delle Rsu colgono un punto essenziale: il brutale attacco in corso al diritto di sciopero e alla possibilità di difendere con la lotta il proprio posto di lavoro, riguarda l’intera classe operaia al di là delle sigle sindacali. Lo afferma in modo netto il comunicato della Rsa Fiom della Ferrari, che val la pena riportare: “Siamo fortemente convinti che non si tratta di un incidente o di una fatalità, ma (è) la conseguenza di un sempre più diffuso ricatto che mette al centro le logiche del profitto a discapito della salute e della vita dei lavoratori (…). Tutto questo è il grave sintomo di un profondo disprezzo per la vita umana da parte di chi ha sempre più fame di profitti. Le differenze tra sigle, in questo momento, non possono e non devono essere ostacolo alla mobilitazione. Davanti a tale scempio non debbono esserci ambiguità e non ci si può limitare a comunicati di circostanza” (la stoccata vale, oltre che per la burocrazia della Fiom, anche per settori consistenti del “sindacalismo di base”). Altrettanto significativa è la conclusione: “Questo (sciopero di solidarietà) deve essere un primo passo verso uno sciopero generale di tutte le categorie per fare in modo di riaffermare che i lavoratori non sono oggetti”.

Ci permettiamo solo di chiedere a questi compagni operai perché evitano di chiamare in causa con il suo nome la classe dei capitalisti, dal momento che di questo si tratta, e non soltanto di tanti singoli imprenditori assatanati di profitti. Soprattutto diciamo loro: è indispensabile mettere a fuoco il ruolo del governo Draghi, delle istituzioni statali nel sostegno al “ricatto”, al “disprezzo per la vita umana” e alla violenza padronali che ci colpiscono. Ma prendiamo la loro decisione di scioperare “per Adil” come un primo passo di un cammino nella direzione giusta. L’ampia eco della lotta dei proletari immigrati della logistica è arrivata, con la sua energia, anche in altri conflitti del settore siderurgico e metalmeccanico fino ad oggi di bassa intensità: lo si è visto ieri cogli operai dell’ex-Ilva di Genova che gridavano a squarciagola “il posto di lavoro non si tocca, lo difenderemo con la lotta”, “via, via la polizia”, “vergogna, vergogna” sempre verso gli stessi destinatari, o con gli operai della Whirpool che sono riapparsi in scena un po’ più determinati del solito, e solidali sull’uccisione di Adil.

C’è, però, un rovescio della medaglia da considerare: più ci si allontana dalla base operaia della Fiom, più ci s’imbatte nelle “ambiguità” denunciate dalla Rsa Ferrari e in linee di indirizzo che non portano nella direzione dell’organizzazione della lotta dell’intera classe operaia, dell’intero proletariato, contro l’asse padronato-governo, bensì in tutt’altra direzione. È il caso del segretario della Fiom di Reggio Emilia, Vecchi, capace sì di denunciare la giungla degli appalti e sub-appalti, e di raccogliere l’invito a scioperare per Adil, ma che contro la violenza padronale (senza mai nominare i padroni!) si appella allo stato, che a suo dire dovrebbe tutelare i lavoratori – come, non ha visto nessuna delle bastonature di stato riservate ai facchini della logistica? – , e porre vincoli al mercato. Questo, dopo aver egli stesso ricordato che dal Berlusconi-2001 in avanti, sono stati proprio i governii massimi organi operativi dello stato, ad “abrogare la parità di trattamento negli appalti prevista da una normativa del 1960”. Vecchi: ci sei o ci fai? Ti è sfuggito che il governo Draghi ha promesso un’ulteriore liberalizzazione degli appalti e dei sub-appalti? Nel contesto di questa linea politica che considera lo stato e il governo alleati o, almeno, tutori della classe operaia, la lotta di classe degli sfruttati è spedita in soffitta, tra gli attrezzi che non servono. E allora anche la proclamazione dello sciopero per Adil appare, a questi livelli dell’apparato, una concessione al sentimento solidale spontaneo della base operaia che va fatta tatticamente, in certe congiunture, per mostrare un’attenzione che è in realtà smentita dalle scelte strategiche e tattiche dell’organizzazione-Fiom.

Salendo ora di molti gradini fino ai vertici della Cgil, troviamo l’ex-segretario Fiom Landini, scambiato per anni per intrepido barricadero senza macchia e senza paura. In una delle sue infinite interviste (“la Repubblica”, 21 giugno) Landini tuona contro lo sfruttamento del lavoro, la precarietà del lavoro, il disprezzo verso il lavoro, la progressiva svalorizzazione del lavoro, che gli paiono dominanti nella società, e l’assenza di vincoli sociali a queste tendenze. Non saremo noi a dargli torto. Il punto è: a parte i “comunicati” e le parole “di circostanza”, cosa ha fatto, cosa fa, la Cgil contro queste tendenze? Non si è forse resa pienamente corresponsabile di esse e del loro crescente impeto, sposando, dalla svolta dell’Eur (febbraio 1978) (*) al Jobs Act di Renzi fino agli ultimi contratti nazionali firmati senza lottare con aumenti pari a piccole elemosine, la linea dei “sacrifici necessari” per tirare fuori l’Italia dalla crisi? E il rumoreggiare dei tuoni landiniani come finisce? Finisce con l’implorare il governo Draghi, alla cui nascita Landini applaudì senza riserve, di convocare di nuovo la triade per far “ripartire il dialogo sociale”, e con l’invocare una legge “che misuri l’effettiva rappresentanza dei sindacati” per tagliare fuori da ogni possibile ruolo proprio gli organismi più combattivi come il SI Cobas. E lo sciopero generale che aveva ventilato nei giorni scorsi, come estremissima arma? Neppure l’ombra di un accenno, sia pur demagogico.

C’è quindi abbondante materiale di riflessione per le migliaia di operai Fiom che hanno scioperato per Adil, avvertendo che il suo assassinio e le analoghe violenze che lo hanno preceduto (ignorate dagli alti quadri sindacali) riguardano tutti i proletari, al di là delle sigle sindacali, delle categorie, delle nazionalità. Adil Belkhadim non è apparso loro né marocchino, né tunisino, né altro: semplicemente “uno di noi”, morto perché si batteva “per la difesa della propria dignità e dei propri diritti”. Non saremo semplici spettatori di questa “riflessione” a cui l’acutizzazione dello scontro di classe darà agli iscritti Fiom ulteriori materiali per mettere alla prova quanto è biforcuta la lingua dei propri dirigenti. E trovare il coraggio per scendere in campo in prima persona, non solo a fine turno, contro l’insieme dei meccanismi che fanno della forza-lavoro collettiva umana un oggetto, una merce di enorme valore, che il capitale ha bisogno di vessare e svalorizzare all’estremo.

Il primo passo è stato compiuto con gli scioperi di solidarietà per l’assassinio di Adil. L’occasione per fare un secondo passo è dietro l’angolo: l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi chiamata per l’11 luglio a Bologna contro i licenziamenti, per fermare la violenza contro gli scioperi, per preparare un forte sciopero generale contro il padronato e il governo Draghi. A presto!

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(*) La svolta dell’Eur fu preceduta da un’intervista del segretario Cgil Luciano Lama al direttore de “la Repubblica” Scalfari il 24 gennaio 1978, intitolata Lavoratori, stringete la cinghia, nella quale Lama, a partire dal dato di fatto di un’ampia massa di disoccupati (prodotta dalla crisi capitalistica di metà anni ’70, e non certo dal proletariato ‘stabilmente’ occupato), argomentava così:

“se vogliamo essere coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea. (…) la politica salariale nei prossimi anni dovrà essere molto contenuta, i miglioramenti che si potranno chiedere dovranno essere scaglionati nell’arco dei tre anni di durata dei contratti collettivi, l’intero meccanismo della Cassa integrazione dovrà essere rivisto da cima a fondo. Noi non possiamo più obbligare le aziende a trattenere alle loro dipendenze un numero di lavoratori che esorbita le loro possibilità produttive, né possiamo continuare a pretendere che la Cassa integrazione assista in via permanente i lavoratori eccedenti. Nel nostro documento si stabilisce che la Cassa assista i lavoratori per un anno e non oltre, salvo casi eccezionalissimi… Insomma: mobilità effettiva della manodopera e fine del sistema del lavoro assistito in permanenza. (…) Noi siamo convinti che imporre alle aziende quote di manodopera eccedenti sia una politica suicida. L’economia italiana sta piegandosi sulle ginocchia anche a causa di questa politica. Perciò, sebbene nessuno quanto noi si renda conto della difficoltà del problema, riteniamo che le aziende, quando sia accertato il loro stato di crisi, abbiano il diritto di licenziare.”

Se questa politica sindacale abbia favorito la lotta alla disoccupazione, riducendola, e abbia costretto (o almeno invogliato) i capitalisti italiani a investire per creare nuova occupazione, come pretendeva Lama, ognuno può giudicare.