Pubblichiamo questo articolo “Politica della generosità. La Ue sta combattendo contro l’influenza della Cina nel Sud-est dell’Europa” comparso sul German Foreign Policy.
Dall’inizio di aprile, migliaia di uomini, donne e bambini intrappolati in Libia sono stati messi in mare diretti verso l’Europa.
Si stima che circa 800 migranti abbiano lasciato le coste libiche nella sola seconda settimana di aprile.
Mentre il governo di Tripoli ha inviato trenta medici in Italia per contribuire alla lotta contro Covid-19, l’Italia e Malta hanno dichiarato i loro porti “non sicuri” a causa dell’emergenza sanitaria, e chiuso di fatto le frontiere ai migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Nel frattempo, i centri di detenzione ufficiali rifiutano i migranti, mentre le carceri gestite dalle milizie spalancano le loro porte.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Ue, Serbia, Cina: la “politica della generosità”
(Da German Foreign Policy, 13,05.2020)
Da anni Germania e UE cercano di contrastare la crescente influenza di Turchia, Russia e Cina, in sei paesi extra-UE dell’Europa sud-orientale: Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, Nord Macedonia, Albania e Kosovo, portata avanti per mezzo di attività culturali, militari ed economiche.
Il “modello di transizione”, imposto alle economie dei Balcani occidentali dalla UE e dagli istituti finanziari internazionali come la Banca Mondiale, ha significato la loro dipendenza dalla UE, la quale ne ha drenato miliardi di dollari, rendendone impossibile la ripresa economica.
Quasi il 75% del commercio estero dei paesi balcanici è con la UE, contro una cui media del 63,8% dei paesi UE.
Inoltre, le ineguali condizioni poste alle relazioni commerciali dei paesi balcanici con la UE hanno fatto loro accumulare, nel decennio 2008-2018, un deficit commerciale di circa 100 MD€, che impedisce loro di avvicinarsi al livello economico della UE.
L’impossibilità dei paesi balcanici di migliorare in modo significativo il loro tenore di vita limitandosi alle relazioni con la UE, li ha spinti da alcuni anni a rivolgersi ad altre potenze.
I musulmani bosniaci, ad esempio, cooperano con la Turchia, la quale cerca di rafforzare la propria posizione anche in Kosovo e in Albania.
La Serbia sta rafforzando la cooperazione con la Russia, sia economicamente, con l’acquisto ad es. di gas russo, che dal punto di vista militare. Lo scorso autunno si sono svolte manovre congiunte russo-serbe, chiamate “Scudo slavo”.
La Serbia e altri paesi della regione stanno accrescendo la cooperazione con la Cina, nel quadro della “Nuova via della seta”. Pechino sta preparando un corridoio di trasporto che parte dal porto del Pireo giunge nella UE, passando per il Nord Macedonia, Serbia e Ungheria.
Fanno parte della Nato tre dei sei paesi balcanici: Albania (dal 2009), Montenegro (2017) e Nord Macedonia dal 27 marzo di quest’anno, entrata anche per considerazioni geostrategiche.
Non ne fanno parte la Serbia, che non ha dimenticato la guerra Nato del 1999, e neppure i serbi di Bosnia-Erzegovina.
Il Kosovo non può essere ammesso perché alcuni paesi Nato, tra cui la Spagna, non riconoscono la sua secessione dalla Serbia.
La Ue sta combattendo contro l’influenza della Cina nel Sud-est dell’Europa.
Berlino e Bruxelles hanno reagito con rabbia alla fornitura alla Serbia di aiuti per la pandemia Covid19 da parte della Cina, che è stata accusata dall’incaricato per la politica estera UE, Josep Borrell, di condurre una “campagna per l’influenza” tramite una “politica della generosità”.
Da anni Germania e UE cercano di contrastare la crescente influenza di Turchia, Russia e Cina, in sei paesi extra-UE dell’Europa sud-orientale-Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, Nord Macedonia, Albania e Kosovo, portata avanti per mezzo di attività culturali, militari ed economiche.
Il “modello di transizione”, imposto alle economie dei Balcani occidentali dalla UE e dagli istituti finanziari internazionali come la Banca Mondiale, ha significato la loro dipendenza dalla UE, la quale ne ha drenato miliardi di dollari, rendendone impossibile la ripresa economica – secondo un esperto del think tank berlinese SWP (Fondazione per la Scienza e la Politica).
Dalla UE giungono investimenti esteri, capitali bancari, rimesse degli immigrati, ma nessun reale aiuto finanziario gratuito per il recupero economico e per sanare i deficit strutturali con la UE.
Per questo i paesi balcanici si sono rivolti ad altre potenze, Cina in particolare.
Quasi il 75% del commercio estero dei paesi balcanici è con la UE, una percentuale maggiore di quella di diversi paesi UE, la cui media è del 63,8%, valore corrispondente al dato tedesco.
Inoltre, le ineguali condizioni poste alle relazioni commerciali dei paesi balcanici con la UE hanno fatto loro accumulare, nel decennio 2008-2018, un deficit commerciale di circa 100 MD€, che impedisce loro di avvicinarsi al livello economico della UE (obiettivo previsto per il 2050, se l’incremento del PIL fosse stato del 6-8% annuo).
Non sono bastati conferenze e vertici (la conferenza annuale sui Balcani occidentali, introdotta nel 2014, il vertice UE per i paesi balcanici) unite alle attività della Nato per sottrarre i paesi balcanici all’influenza economica della Cina.
Così, regolarmente, la UE percorre la strada dei negoziati per il loro ingresso nel blocco europeo.
Con il Montenegro sono in corso negoziati dal 2012, e con la Serbia dal 2014.
Lo scorso marzo (2020), dopo forti scontri al suo interno, la UE ha promesso l’avvio di negoziati anche a Nord Macedonia e Albania.
Le trattative servono a far allineare i candidati alle normative economiche e giuridiche della UE, senza necessariamente portare al loro ingresso, non auspicato da tutti i paesi UE, in quanto i nuovi membri avrebbero il diritto a trasferimenti di fondi e potrebbero chiedere di pesare politicamente.
La scorsa settimana nella dichiarazione finale del vertice per i Balcani occidentali di Zagabria la UE ha evitato l’utilizzo del concetto “allargamento” su pressione, sembra, di Germania, Olanda e Francia.
Nondimeno la UE chiede ai paesi balcanici di adeguare la loro politica estera alla propria.
In preparazione al vertice la UE ha allentato il divieto di esportazione di presidi sanitari, assicurando di fornirli essa stessa; ha anche promesso aiuti per 3,3 MD€, di cui però 900 milioni di € provengono da fondi già impegnati, e il rimanente sono prestiti da rimborsare a favore delle imprese private.
Nella dichiarazione conclusiva la UE chiede una dimostrazione di gratitudine ai paesi balcanici, sostenendo che il suo «sostegno e la cooperazione sono molto superiori a quanto qualsiasi altro partner ha messo a disposizione
per la regione».
Nuova Via della Seta, scudo slavo
L’impossibilità dei paesi balcanici di migliorare in modo significativo il loro tenore di vita limitandosi alle relazioni con la UE, li ha spinti da alcuni anni a rivolgersi ad altre potenze. I musulmani bosniaci, ad esempio, cooperano con la Turchia, la quale cerca di rafforzare la propria posizione anche in Kosovo e in Albania.
La Serbia sta rafforzando la cooperazione con la Russia, sia economicamente, con l’acquisto ad es. di gas russo, che dal punto di vista militare.
Lo scorso autunno si sono svolte manovre congiunte russo-serbe, chiamate “Scudo slavo”.
La Serbia e altri paesi della regione stanno accrescendo la cooperazione con la Cina, nel quadro della “Nuova via della seta”.
Pechino sta preparando un corridoio di trasporto che parte dal porto del Pireo giunge nella UE, passando per il Nord Macedonia, Serbia e Ungheria.
La Cina ha colto l’occasione del divieto posto dalla UE il 19 marzo di esportare presidi sanitari anche nei paesi balcanici, per provvedere essa stessa.
Fanno parte della Nato tre dei sei paesi balcanici: Albania (dal 2009), Montenegro (2017) e Nord Macedonia dal 27 marzo di quest’anno, entrata anche per considerazioni geostrategiche.
Non ne fanno parte la Serbia, che non ha dimenticato la guerra Nato del 1999, e neppure i serbi di Bosnia-Erzegovina.
Il Kosovo non può essere ammesso perché alcuni paesi Nato, tra cui la Spagna, non riconoscono la sua secessione dalla Serbia.
Mosca non è riuscita ad impedire però che questi tre paesi non Nato siano circondati da paesi Nato.