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[CONTRIBUTO] Non siamo forti quando parlano di noi; parlano di noi quando siamo forti. Sulla guerra tra padroni e operai

NON SIAMO FORTI QUANDO PARLANO DI NOI

PARLANO DI NOI QUANDO SIAMO FORTI!

Il richiamo mediatico sull’aggressione armata avvenuta la notte di giovedì 10 giugno a Tavazzano contro il SI Cobas è un fatto senz’altro anomalo.

Chi conosce anche solo in maniera sommaria la storia del SI Cobas e, più in generale, delle lotte che negli ultimi 12 anni hanno attraversato il settore della logistica, sa bene che non è la prima volta che gli scioperi vengono attaccati da gruppi di crumiri, sa bene che non di rado i camion provano a forzare i picchetti col rischio che ci scappi il morto (come dimenticare Abd El Salaam travolto alcuni anni fa da un bilico che lo uccise fuori ai cancelli della GLS?), sa bene che i sindacalisti che lottano al fianco dei lavoratori sono esposti a minacce, a rappresaglie e ad agguati da parte delle squadracce padronali. Per non parlare dei veri e propri assedi da parte delle forze dell’ordine contro gli scioperanti (vedi il caso più recente alla Ceva, dove gli operai hanno resistito a cariche violentissime e alla fine, proprio in queste ore, hanno vinto, strappando un buono pasto giornaliero di 5,29 €).

La verità è che nella logistica da 13 anni è in atto una GUERRA quotidiana tra padroni e operai: una guerra senza esclusione di colpi, che si sviluppa nel quasi totale silenzio dei media, e ciò per vari motivi:

A- si tratta di battaglie che si sviluppano ai margini dei riflettori metropolitani, in quell’estrema periferia fatta di centri produttivi e industriali che, di pari passo con la crisi del vecchio movimento operaio e con la ristrutturazione capitalistica, hanno assunto un ruolo sempre più centrale nell’economia ma che, almeno fino al boom di Amazon, non erano percepite come tali dai media e dall’opinione pubblica; 

B- si tratta di battaglie che per la prima volta dopo decenni hanno portato un miglioramento reale nelle condizioni di vita e salariali di migliaia di operai, e che per questo sono state silenziate e censurate da parte dei media legati al grande capitale, il quale da sempre è impegnato a circoscrivere il più possibile le vittorie dei lavoratori al fine di evitare che le proteste si allarghino a macchia d’olio, contaminando anche quelle categorie che da decenni sono in letargo e subiscono passivamente ogni sopruso padronale;

C- si tratta di battaglie che vedono in campo una classe operaia giovane e in larga parte immigrata, e in cui i lavoratori immigrati dimostrano di essere non solo uno dei perni principali della creazione di ricchezza (cioè di plusvalore e di profitti), ma anche una avanguardia capace di indicare la strada del riscatto a milioni di loro colleghi italiani. Una dinamica che smentisce clamorosamebte i cliché e i luoghi comuni alimentati dalla stampa e dalla TV, tesi a presentare gli immigrati come dei disperati e/o dei reietti giunti sui nostri territori unicamente per ricevere assistenza (leggi elemosina), e quindi ad alimentare la finta dicotomia tra “buonisti” e “sovranisti” su cui oramai da anni si costruiscono le fortune e le sfortune elettorali dell’intero arco parlamentare.

Dopo 12 anni di lotte durissime, i fatti di Tavazzano, gravissimi per l’intensità dell’attacco armato sferrato ai lavoratori in sciopero ma qualitativamente non dissimili da decine, o forse centinaia di casi analoghi, ha finalmente aperto il sipario sulle condizioni di semischiavitù che vigono nella logistica (e non solo), sul caporalato delle finte cooperative e sul connubio tra padroni, criminalità organizzata, forze di polizia e sindacati asserviti.

La potenza d’impatto del video pubblicato sulla pagina facebook del SI Cobas ha messo in moto l’attenzione dei media: come oramai avviene da qualche decennio in quella che Debord definì la “società dello spettacolo”, i fatti divengono scoop giornalistici solo se supportati dall’ausilio delle immagini, immortalate al posto giusto nel momento giusto…

E allora ecco che l’agguato di Tavazzano diviene oggetto d’attenzione sulle prime pagine di giornali e telegiornali, ecco che settori politici e istituzionali che hanno sempre ignorato, se non contrastato apertamente queste lotte, sono spinti a prendere posizione nel merito.

Di fronte a ogni fatto sociale, è essenziale domandarsi perché una determinata dinamica si mette in moto. Quasi sempre la spiegazione non è mai una, bensì il prodotto della combinazione di più elementi.

In questo caso è probabile che il peso assegnato dai media all’aggressione squadristica di giovedì notte sia determinato da:

1) l’utilizzo della “polizia privata” da parte di Zampieri holding. Per la verità, come denunciato dal SI Cobas già negli scorsi mesi, non si tratta di una novità, poiché Zampieri utilizza già da almeno un anno bodyguards privati fuori ai suoi cancelli.

Si tratta però di un fatto che, collocato nel contesto dell’imminente sblocco dei licenziamenti, può portare molti padroni ad agire in maniera emulativa. Se Zampieri caccia i licenziati FedEx di Piacenza a suon di sprangate, perché non potrebbero fare lo stesso tutti i padroni che si apprestano a licenziare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi?

È quindi evidente che si sta materializzando lo scenario che il SI Cobas aveva previsto già nelle prime settimane del picco pandemico: l’inasprirsi della crisi tende inevitabilmente verso una precipitazione esplosiva delle contraddizioni, rendendo estremamente ridotto il margine d’azione per le strutture di mediazione classiche del capitalismo, in primo luogo le istituzioni e i sindacati di stato, e avviando un processo di progressiva polarizzazione dello scontro tra padroni e lavoratori.

2) questa tendenza è foriera di profonde perturbazioni nel panorama politico-istituzionale.

Le immagini di Tavazzano, in cui è apparso chiaro il ruolo di copertura svolto dalle forze dell’ordine nei confronti dei mazzieri di Zampieri, hanno sepolto in un sol colpo i fiumi di retorica patriottarda con i quali da un anno i media ci subissano a reti unificate, sbugiardando clamorosamente il mito assolutizzante del poliziotto “tutore della legge e dell’ordine”, e svelando come quest’appellativo sia valido solo qualora si tratti dell’ordine e della legge fondata sul profitto e sullo sfruttamento senza limiti della forza-lavoro salariata.

A fronte di ciò, riaffiora in superficie la differenziazione all’interno della classe dominante tra la variante “democratica” e quella reazionaria, tra il capitalismo “temperato” pseudo progressista e l’ultraliberismo senza fronzoli.

L’avanzare della crisi e, con essa, dello scontro di classe, tenderà inevitabilmente a sfilacciare e a disarticolare il fronte unico della borghesia e l’union sacrée suggellata dalla nascita in pompa magna del governo Draghi.

C’è da sperare che qualche anima bella progressista possa salvare i proletari e/o sottrarli alla responsabilità storica di costruire la propria soggettività autonoma e indipendente da ogni frazione della classe dominante? C’è da coltivare la speranza che qualche mente illuminata nel campo nemico possa concederci la salvezza dalle intemperie della crisi? No di certo: ogni qualvolta le classi oppresse si sono avventurate in queste illusioni, ne sono derivati solo disastri.

Ma allo stesso tempo sarebbe da stolti reagire con indifferenza a questi segnali di sfilacciamento interni al nemico di classe.

Da che mondo è mondo, una delle condizioni essenziali per vincere una battaglia, è la capacità di alimentare divisioni nel campo nemico.

La verità è che oggi parlano di noi perché siamo forti, non il contrario!

La verità è che le gocce e i mille rigagnoli delle lotte della logistica hanno in questi anni scavato la roccia di una presunta invincibilità del fronte padronale.

La verità è che queste lotte hanno restituito a migliaia di lavoratori quell’entusiasmo e quella fiducia nei propri mezzi che nel campo proletario erano considerate oramai un cimelio del passato.

Per questo, è ora di dire con chiarezza che chi non è capace di analizzare e comprendere il contesto, le dinamiche e le mille criticità della fase attuale, abbaia alla luna; che chi continua a inebriarsi con slogan e petizioni di principio senza essere capace di svolgere un’”analisi concreta della situazione concreta”, non solo non è d’aiuto alla lotta, ma è a pieno titolo un veicolo di sfiducia, di disarmo e di sconfitta; che chi non coglie tutti gli aspetti della contraddizione messa in campo dai facchini, e oggi in primo luogo dai licenziati FedEx di Piacenza, è solo un chiacchierone; che chi passa il proprio tempo con la penna rossa in mano per sottolineare la presunta mancanza di “purezza” di questa o quella affermazione contenuta in un comunicato (vedi le “scomuniche” per la messa in evidenza della polizia che “sta a guardare” mentre i mazzieri bastonano i licenziati FedEx) o di questa o quella scelta tattica (vedi il microbestiario di attacchi sulla scelta di disoccupati e licenziati FedEx di indire una conferenza stampa nelle aule del senato, su cui non a caso si è manifestata l’unità d’intenti tra i cascami del rossobrunismo e qualche detrito “ultrasinistro”) equivale a chi guarda il dito mentre gli si indica la luna.

Oggi più che mai il percorso per la ricostruzione dell’autonomia di classe non ammette formulette magiche e non può contare su comodi sentieri lineari e già tracciati.

Oggi più che mai è il discrimine tra l’anticapitalismo e l’opportunismo passa per le colonne d’Ercole della lotta di classe e per la messa in discussione del clima di pacificazione sociale che da decenni imprigiona i proletari, con un indirizzo capace di colmare il gap tra le necessità e le convenienze immediate del proletariato (alternative e antagonistiche a quelle di tutte le altre classi) e la necessità storica della rottura rivoluzionaria.

Il resto è solo un inutile e stucchevole esercizio vouyeristico.